È finito tutto, o forse cominciato, con un viaggio in macchina, nell’inconsapevolezza che sarebbe stato l’ultimo per lungo tempo, seguendo istintivamente questa o quella direzione lungo le strade di campagna, mentre già bar e ristoranti chiudevano entro una certa ora del pomeriggio, e qualche irriducibile presenza umana si arrischiava solitaria ad interrompere la desolazione di vie e sentieri, non rinunciando alla libertà di una passeggiata lungo l’argine. Poi, la storia nota, il confinamento e il dilagare della pandemia, che non risparmia gli affetti più cari, e che congela lo stesso confinamento in un limbo di impotenza, di ansia, e di paura. Sentimenti che non ti abbandonano, in veglia e durante il sonno, e che ti appesantiscono il passo, quando sei costretto ad uscire comunque per andare a lavorare. E allora quelle strade, le solite, che attraversano centri abitati, i soliti, diventano nella loro desolazione, una inconfondibile distesa di sconcerto, e di angoscia, interrotta da improvvise lacrime e dai bollettini poco rassicuranti alla radio. E il dolce sapore della primavera, adesso che arriva, ha un retrogusto un po’ amaro, dopo che l’inverno, con la sua nebbia perenne, era parso così difficile da superare.
E anche se questo territorio lo senti ancora estraneo, talvolta ostile, fai fatica a riconoscerti in lui e a trovare la tua dimensione, in questo tempo lo senti vicino, dolorosamente vicino, e vorresti poter scendere dalla macchina, ora che proprio non puoi, giusto ogni tanto, per scattare qualche fotografia, scacciare quell’alito di morte abbracciando la terra, camminando di nuovo sugli argini, ammirando i tramonti, respirando a pieni polmoni un'aria che vorresti fosse meno dannosa per tutti, qui.
E ti capita di scambiare per dono soprannaturale una gatta di campagna, che, forse avendo smarrito la sua dimora abituale o forse chissà perché, comincia a sbucare sempre più frequentemente dal boschetto limitrofo a casa tua, proprio in quei giorni lì, all’inizio, o alla fine, di tutto. E succede che facciate amicizia, e che la gatta diventi la quarta dei gatti adottati in famiglia, decidendo che la tua è anche casa sua. Il pensiero di vederla ritornare dopo ogni sua scorribanda nelle campagne ti tiene allerta, e il momento in cui la vedi effettivamente tornare ti conforta.
La decisione di abitare in campagna in questo momento ti sembra salvifica, da molti punti di vista: è diverso vivere la quarantena potendo usufruire di uno spazio all’aperto in cui muoversi e prendere aria. Diventa il nostro rifugio, non per lasciarci alle spalle ciò che sta aggredendo la vita fuori, perché non potremmo comunque scrollarcelo di dosso, ma per sopportarlo, per tentare di trasformarlo, a volte anche soltanto per fare in modo che il tempo passi. E ripensi a quel momento in cui una delle ragazze che assisti, dopo averti colto in un raro momento senza mascherina, ha espresso la felicità di rivedere il tuo volto, finalmente, dopo così tanti giorni. Devi esserle sembrata così poco espressiva in tutto questo tempo. Ripensi a loro che continuano a truccarsi anche se sanno che nessuno vedrà il rossetto sotto la mascherina. Pensi a molte cose, ne leggi anche di più di quelle che riesci quasi a pensare, ne temi anche troppe. E non sai neanche più se te lo puoi permettere, di chiederti quando finirà, tutto questo, e quando ricomincerà tutto.
È la prima primavera che viviamo in questa casa, forse ce la saremmo immaginata diversa, ma la viviamo così, intensamente, aggrappandoci a lei, in ogni nuovo bocciolo che si affaccia a sfidare anche la recinzione, in ogni fiore che sboccia, in ogni albero che torna alla vita dopo mesi di gelo. Assaporiamo avidamente questa fortuna. Diventa quasi la nostra preghiera.